La Disposofobia nella ricerca scientifica

Ricerca Scientifica HoardingIn ambito scientifico gli ultimi 10 anni hanno visto un fiorire esponenziale di studi sulla Disposofobia (conosciuta in ambito clinico come Hoarding Disorder) fino ad oggi considerata una manifestazione secondaria ad altri disturbi (in particolare il Disturbo Ossessivo Compulsivo o il Disturbo di Personalità Ossessivo Compulsivo). L’esito di questa attività di ricerca sviluppata in differenti ambiti (neuroscienze, studi genetici, studi sulle terapie, ecc.) ha portato nei clinici nuovi elementi di comprensione circa la natura peculiare del disturbo e la creazione nel nuovo “Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-V) di una specifica categoria denominata “Hoarding Disorder” (che sarà probabilmente tradotta in Italiano con “Disturbo da Accumulo”) dotata di criteri diagnostici propri. Questo va considerato sicuramente un passo importante che favorirà ulteriormente sia lo sviluppo della ricerca che quello dei trattamenti cogliendo peraltro una situazione già consolidata nella conoscenza clinica. D’altra parte, anche per i non addetti ai lavori, il termine hoarding ha cominciato ad entrare nel vocabolario comune principalmente per il successo di alcune serie TV, prodotte negli Stati Uniti e ritrasmesse in Italia (come “Hoarders” e “Buried Alive”) che seppur semplificando molto il problema hanno alzato il livello di consapevolezza generale sul tema.

Il termine Disposofobia entrato nell’ uso comune non è completamente corretto, perché da un lato rimanda al concetto di Fobia che non può essere applicato a questo disturbo e dall’altro coglie solo l’aspetto di difficoltà a liberarsi delle “cose” senza cogliere l’aspetto di accumulo. D’altra parte il termine Hoarding non è di facile traducibilità, si sono pertanto sviluppate una serie di etichette che identificano il disturbo ma che per motivi differenti risultano o riduttive o fuorvianti (Sillogomania, Accaparramento Compulsivo, Accumulo Patologico, Mentalità Messie, Sindrome di Collyer); utilizzeremo in questo sito la dicitura Disposofobia non tanto per la sua correttezza ma per la sua diffusione in ambiente non clinico. Nei prossimi post sarà un po’ ripercorso il cammino fatto fino ad oggi per il riconoscimento del disturbo, la sua inclusione nel DSM-V, le basi di questo riconoscimento (in particolare quelle interessantissime di tipo genetico e neurobiologico), le prospettive di studio verso ipotesi causali di tipo traumatico e ovviamente le possibilità di trattamento.

In Italia la disposofobia come manifestazione clinica viene spesso ignorata o sottovalutata considerandola di volta in volta:

  • un aspetto caratterizzante un altro disturbo
  • un aspetto secondario ad altri disturbi (depressione, ansia, demenza)
  • un’ espressione di pigrizia, avarizia, disordine, ecc.
  • un tratto caratteriale un po’ eccentrico ma fondamentalmente innocuo

E’ senz’altro vero che molte condizioni possono produrre comportamenti di accumulo ma è anche vero che la ricerca già da almeno un decennio permette di discriminare un profilo sostanzialmente Disposofobico da uno secondario ad altre patologie o in combinazione con altre patologie.  In questo senso il suo riconoscimento formale aiuterà a porre maggior attenzione all’inclusione in fase di valutazione dei casi di elementi di indagine su questo aspetto spesso fortemente invalidante.

Vediamo alcuni aspetti essenziali che caratterizzano la Disposofobia. Sostanzialmente si tratta di un modello di comportamento caratterizzato dall’incapacità di eliminare alcunché dai propri spazi vitali (casa, auto, ufficio, ecc.) talvolta accompagnata dall’eccessiva acquisizione di oggetti per il loro carattere di “affare” o “scorta”. Si crea così uno sbilanciamento tra il materiale che “esce” (quasi nulla / nulla) e quello che “entra” perché acquistato o raccolto in giro (volantini, bustine di zucchero, giornali, vestiti, cibo, in alcuni casi animali). Nel tempo questo determina il progressivo ingombro di tutti gli spazi disponibili inclusi quelli vitali per cucinare, dormire, lavarsi determinando in ultimo l’impossibilità a svolgere le normali attività quotidiane. La gravità del comportamento di accumulo può essere valutata con differenti scale. Questo meccanismo determina un circolo vizioso con gravissimi impatti sulla persona ed i suoi familiari. La casa progressivamente non è più adatta a svolgere le sue funzioni, vi è una riduzione e talvolta un crollo del funzionamento lavorativo e sociale. Spesso sorgono problemi economici per le eccessive spese, i mancati guadagni o la mancata amministrazione dei propri beni. Vi è un progressivo isolamento ed anche i rapporti con i familiari diventano sempre più difficili, caratterizzati spesso da rabbia e vergogna. Si tratta quasi sempre di una spirale discendente che determina specie in età avanzata ulteriori problemi. La persona non accetta di far entrare nessuno nei propri ambienti per effettuare delle riparazioni, gli spazi si deteriorano ulteriormente con gravi problemi igienici, il materiale accumulato inoltre crea rischi di cadute e di incendio. Si determinano situazioni di conflittualità con il vicinato. Anche se si tratta di un caso estremo la storia dei fratelli Collyer (il primo caso documentato di hoarding dal cui nome Sindrome di Collyer che nel ’47 morirono nella loro casa di New York sotto 130 tonnellate di “roba”) può dare un idea della drammaticità del disturbo.

Ma se tutto questo è causato semplicemente dalla difficoltà di liberarsi delle cose accumulate cos’è che mantiene il disturbo? Sostanzialmente si tratta di aspetti disfunzionali in una o più di queste tre aree:

1/ Difficoltà in alcune funzioni base (categorizzazione, pianificazione, decisione, memoria)

Chi ha un disturbo da accumulo ha:

  • difficoltà a categorizzare i propri beni (ad esempio, decidere ciò che ha valore e ciò che non ne ha)
  • difficoltà a prendere decisioni su cosa fare con tali beni
  • difficoltà a ricordare dove sono le cose (spesso vuole mantenere tutto in vista in modo da non dimenticare)

2/ Idee particolari sui propri beni

Chi ha un disturbo da accumulo:

  • sente un forte senso di attaccamento emotivo nei confronti dei propri beni (ad esempio, un oggetto potrebbe essere avvertito come unico, una parte della persona o della sua storia)
  • si sente responsabile per gli oggetti e a volte pensa che le cose inanimate abbiano dei sentimenti
  • sente il bisogno di mantenere il controllo sui propri beni (e quindi non vuole che nessuno tocchi o sposti tali oggetti)
  • è preoccupato di dimenticare le cose (e usa gli oggetti come promemoria visuale)

3/ Stress emotivo connesso all’eliminazione

 Chi ha un disturbo da accumulo:

  • si sente molto ansioso o turbato quando si tratta di prendere una decisione su cosa eliminare
  • ha un tratto perfezionistico che determina la paura di prendere la decisione sbagliata su cosa tenere e cosa buttare via
  • controlla le proprie sensazioni di disagio, evitando di iniziare il compito di eliminazione e rimandando il compito

Circa la diffusione del disturbo numerosi studi collocano la disposofobia come presente tra il 2 e il 5% della popolazione generale, una percentuale significativamente più alta rispetto all’incidenza di altri disturbi come il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo di panico e la schizofrenia. La tendenza all’accumulo spesso inizia durante l’infanzia o l’adolescenza, ma di solito non ha manifestazioni severe fino all’età adulta. La tendenza all’accumulo si presenta spesso nelle famiglie dove sono presenti altri disturbi, come depressione, ansia sociale, disturbo bipolare, ecc. La maggior parte delle persone con accumulo compulsivo può indicare almeno un altro membro della famiglia con lo stesso problema. Studi di tipo genetico suggeriscono che una regione del cromosoma 14 sia legata al comportamento di accumulo in queste famiglie.

Una domanda che prima o poi emerge sempre quando si parla di disposofobia è come sia determinabile il confine tra normalità e patologia, anche considerando che spesso l’accumulatore vive il suo disturbo in modo inconsapevole. Qualcuno si chiede “in fondo la disposofobia non è una forma di collezionismo estremo?”. Tutti in qualche fase della vita hanno la sensazione di accumulare troppa roba e molti sono dei collezionisti di qualche cosa, ma quando il disturbo interferisce con la vita lavorativa, familiare e sociale della persona si può parlare di manifestazioni di rilievo clinico di per sé sufficienti a tracciare una demarcazione sostanziale.

Nei prossimi post verranno trattati alcuni degli aspetti qui accennati in modo più approfondito ed il tema del supporto ai familiari nel trattamento del paziente.

Articolo Originale: “Hoarding Disorder – oltre la prospettiva OCD, OCPD” su Psicoterapie.pro

Quali differenze tra comportamento di accumulo dovuto a Disposofobia rispetto a quello dovuto a Disturbo Ossessivo Compulsivo?

Il comportamento di accumulo è stato tradizionalmente considerato espressione di una particolare manifestazione di Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Da questa assimilazione è derivata l’etichetta “accumulo compulsivo”,  in parte fuorviante alla quale viene ancora comunemente ridotta qualsiasi manifestazione di accumulo. In realtà sia nella versione IV-TR del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM) che nell’attuale versione della classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, proposta dall’OMS (ICD-10), l’ accumulo non compare tra i criteri diagnostici del DOC, l’unica menzione attinente all’accumulo compare invece tra i criteri per la diagnosi del Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità (disturbo di asse II a dispetto del nome completamente diverso dal DOC) peraltro essendo totalmente assente nel disturbo anacastico di personalità equivalente di quest’ultimo nell’ICD-10. Questa assenza tra i criteri diagnostici del DOC non stupisce considerando che in realtà negli studi sul disturbo solo il 5% dei soggetti presenta come sintomo importante e primario il comportamento di accumulo. Un evenienza quindi piuttosto rara. La disposofobia (HD) che invece attribuisce al comportamento di accumulo il ruolo di suo principale indicatore, unitamente agli effetti che tale accumulo produce, compare a partire dal 2013 nel DSM-V e rappresenta la matrice causale alla quale è riconducibile la maggior parte dei casi di accumulo.

La tradizionale assimilazione del comportamento di accumulo ad una forma di Disturbo Ossessivo Compulsivo è tuttavia un dato di fatto e va ricondotta essenzialmente a due fattori: da un lato all’identificazione di un fattore discreto di “accumulo” nella cluster analysis statistica su campioni di pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo e dall’altro alle apparenti similarità fenomenologiche tra Disturbo Ossessivo Compulsivo e Disposofobia. Gli evitamenti e le difficoltà ad eliminare cose non oggettivamente necessarie motivate dalla paura di privarsi di qualcosa di affettivamente importante, utile o bello tipiche degli accumulatori sono infatti state in passato interpretate come “ossessioni” mentre la necessità di conservare tali cose, come “compulsioni”. In realtà la fenomenologia apparentemente simile è sostanzialmente diversa e, grazie al famoso articolo di Frost & Hartl del 1996 nel quale per la prima volta è stata data una definizione operativa del disturbo,  ha potuto essere indagata in modo più approfondito. Dal 2007 gli studi sul tema sono cresciuti esponenzialmente facendo emergere appunto le importanti differenze tra manifestazioni del Disturbo Ossessivo Compulsivo e della Disposofobia (fig.1) che hanno portato nel DSM-V alla separazione dei due disturbi rendendo quest’ultima di fatto un disturbo a sé stante con propri criteri diagnostici.

Differenze tra DOC e Disposofobia

Anche se è oggi chiaro che gli accumulatori non sono quasi mai diagnosticabili con un Disturbo Ossessivo Compulsivo esiste tuttavia una piccola percentuale di casi stimata in circa il 10% (una buona descrizione sono i 10 casi clinici analizzati e documentati da Pertusa, Frost and Mataix-Cols nel 2010) nei quali l’accumulo è secondario e dipendente da tipiche ossessioni del DOC. In questi rari casi l’accumulo da sollievo rispetto al dubbio ossessivo (come nel checking), previene il pericolo di un ossessione aggressiva o di contaminazione (come nel washing) da sollievo rispetto a sensazioni di incompletezza o imperfezione (come nelle compulsioni di simmetria). Le differenze tra accumulo collocabile in un quadro di Disturbo Ossessivo Compulsivo ed uno tipico della Disposofobia sono notevoli e sono riassunte nella fig.2 adattata da quella pubblicata da Pertusa e Fonseca nel Manuale della Oxford (2014) sull’Hoarding.

Accumulo nel DOC e nella Disposofobia

Va notato che la categoria di pazienti con accumulo da Disturbo Ossessivo Compulsivo, pur essendo percentualmente ridotta, proprio per il carattere ego-distonico del disturbo è sovra rappresentato negli studi di psicoterapia rispetto a quelli per Disposofobia che pur essendo in realtà molto più numerosi, quasi mai richiedono un aiuto per il proprio problema (<25%).

In conclusione anche in questo caso, come già evidenziato nel post precedente, emerge la necessità di avere sempre un’accurata diagnosi differenziale tra la possibile matrice DOC e quella Disposofobica del comportamento di accumulo al fine di identificare la linea di trattamento specifica per il caso in oggetto che sarà molto differente a seconda della diagnosi.

Articolo Originale: “Diagnosi differenziale tra Hoarding Disorder (HD) e Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC)” su Psicoterapie.pro

L’accumulo: uno stesso sintomo per differenti disturbi

Sebbene la Disposofobia (HD) sia responsabile della maggioranza dei casi di accumulo patologico che risultano in caos/clutter con impatti significativi, l’accumulo di oggetti in quanto sintomo può essere presente in differenti patologie di ordine psichiatrico, neurodegenerativo ed in alcuni casi genetico (fig.1). Per questo è sempre importante ricondurre la manifestazione comportamentale dell’accumulo “patologico” alla sua matrice più probabile attraverso una diagnosi differenziale che identifichi la corretta collocazione del sintomo e le eventuali possibilità terapeutiche che in virtù di tale diagnosi saranno sensibilmente differenti. Il rischio evidente laddove questo passo sia affrettato o assente è di intraprendere una strada trattamentale secondo una linea interpretativa del sintomo errata o parziale  che determina un percorso inutile o peggio, dannoso.

Nel nuovo “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”(DSM-V) nel quale la Disposofobia (HD) ha acquisito lo status di disturbo con criteri diagnostici propri, la diagnosi di HD può essere fatta se il comportamento di accumulo non è ascrivibile ad altra condizione medica generale o ad altro disturbo mentale (criteri E ed F).

Vediamo quindi, in tema di diagnosi differenziale, quali possono essere le situazioni nei quali può essere presente un comportamento di accumulo partendo dal completo capitolo di Pertusa e Fonseca pubblicato nel nuovo manuale della Oxford (2014) sull’Hoarding.

In termini di disturbi di matrice psichiatrica il bivio più evidente è la necessità di distinguere se il comportamento di accumulo sia effettivamente riferibile ad una matrice Disposofobica o piuttosto sia un espressione sintomatica del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Questo tema per la sua ampiezza merita una discussione a parte (disponibile qui).

Comportamento di accumulo

In questo post ci soffermiamo invece sulle altre possibili matrici del comportamento di accumulo che insieme al Disturbo Ossessivo Compulsivo e al Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità devono essere escluse per poter fare una diagnosi di Disposofobia. In particolare:

Schizofrenia – La diagnosi differenziale in questi casi è aiutata dal fatto che il quadro è sempre dominato al di là del comportamento di accumulo da i sintomi tipici della schizofrenia. Alcuni scenari nei quali il comportamento di accumulo si inserisce nel più ampio quadro di questo disturbo si hanno con:

  • pazienti che esprimono importanti sintomi negativi e disfunzioni esecutive e che pertanto non sono in grado di “gestire” le proprie cose specialmente all’aumentare dell’età. In questo caso il paziente non attribuisce particolare valore, né mostra alcun “attaccamento alle cose”. In genere gli interventi di aiuto e pulizia non sono osteggiati dal paziente
  • pazienti con importanti sintomi positivi. In questo caso i temi dei deliri e delle allucinazioni possono assumere qualsiasi forma, inclusa la necessità di accumulare motivata da qualche razionale bizzarro
  • accumulo indotto dall’assunzione di antipsicotici. Esiste una nascente letteratura sull’esordio o l’esacerbarsi di un comportamento di accumulo in reazione all’assunzione di Clozapina ed altri neurolettici di seconda generazione

Alcuni studi hanno indagato anche un eventuale significatività dei dati su comorbilità tra Disposofobia e Schizofrenia. I risultati ad oggi suggeriscono che non ci sia alcuna relazione, la Disposofobia non sarebbe né più frequente né più severa in pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale.

Demenza e Disturbi Neurodegenerativi – Il comportamento di accumulo (in questi casi spesso associato con il rovistare nella spazzatura, il rubare e/o nascondere piccole cose) è un sintomo comune nei pazienti con demenza. Rispetto a quello di matrice Disposofobica l’accumulo è più disorganizzato ed opportunistico, focalizzato sul cibo e legato a temi di paura connessi al perdere o essere deprivati delle proprie cose. L’esordio è tardivo nella vita del paziente ed è legato ad un evidente declino cognitivo.

In riferimento alle demenze il comportamento di accumulo è frequente:

  • nel morbo di Alzheimer (che rappresenta anche la forma di demenza più diagnosticata)
  • nel morbo di Parkinson. In questo caso il comportamento di accumulo può essere accompagnato da disturbi del controllo degli impulsi caratteristici del quadro. In termini di diagnosi differenziale l’età di esordio del comportamento di accumulo e la presenza di altri sintomi caratteristici del morbo di Parkinson aiutano il clinico nella corretta diagnosi
  • nella corea di Huntington. Anche in questo caso il comportamento è frequente ma gli altri sintomi oltre ad una eventuale valutazione genetica rendono facile la diagnosi differenziale

Un discorso a sé merita la Demenza Frontotemporale (FTD). In questo caso il comportamento di accumulo si presenta nelle fasi iniziali della malattia rendendo molto complessa la diagnosi differenziale. La FTD può infatti avere un esordio lento e maggiormente precoce rispetto ad altri disturbi neurodegenerativi rendendo questa forse la situazione che con più probabilità nelle fasi iniziali può essere confusa con la Disposofobia. La somministrazione di test psicometrici ed un attenta valutazione neuropsicologica è necessaria per una diagnosi corretta. Lo sviluppo successivo di altri sintomi caratteristici della FDT (perseverazioni, pensieri ossessivi, compulsioni bizzarre, tic complessi) possono confermare o meno nel tempo la diagnosi iniziale.

Sindrome di Diogene – si tratta di una sindrome complessa che negli ultimi 30 anni ha attirato un certo interesse scientifico. Le attuali ipotesi propendono per un disturbo multidimensionale nel quale incidono in parti differenti condizioni psichiatriche, disturbi di personalità, condizioni di danno cerebrale ed eventuali disabilità fisiche. In genere le condizioni di degrado degli ambienti sono molto gravi come quelle di trascuratezza personale. I pazienti sono altamente avversi a qualsiasi tipo di aiuto o intervento. Il rapporto tra Disposofobia e Sindrome di Diogene non è ancora chiarissimo (ne lo status nosologico di quest’ultima). Va detto che i soggetti Disposofobici descritti in letteratura non esibiscono mai le caratteristiche di estremo squallore domestico e trascuratezza personale tipiche della sindrome di Diogene anche se questo non esclude che una relazione esista.

Disturbi di matrice genetica – Nella Sindrome di Prader-Willi e nella Sindrome da delezione 22q11 il comportamento di accumulo è frequente seppur con caratteristiche particolari. Ad esempio nella Sindrome di Prader-Willi il focus è sul cibo, con ricerca e accumulo accompagnata da iperfagia. In ogni caso in entrambe i casi il comportamento di accumulo si innesta come aspetto secondario nel grave quadro clinico caratteristico della specifica sindrome.

Disturbi pervasivi dello sviluppo – In numerosi studi su soggetti con disturbi dello spettro autistico (ASD) ed Asperger viene riportata una frequenza relativamente alta di comportamenti di accumulo (secondo alcuni studi nell’ordine del 25%).  I soggetti con una diagnosi di ASD hanno quindi espressioni di accumulo più severe sia rispetto a soggetti con Disturbo Ossessivo Compulsivo sia rispetto a soggetti con altri disturbi d’ansia. La relazione tra comportamento di accumulo e disturbi dello spettro autistico rimane ad oggi poco chiara e necessita ulteriori studi soprattutto in relazione al ruolo di fattori specifici ascrivibili a tali disturbi (ad esempio il collezionismo di particolari classi di oggetti).

Lesioni Cerebrali – Esiste infine una vasta letteratura su comportamenti di accumulo insorti in relazione a danno cerebrale ischemico o traumatico a carico della corteccia ventromediale, prefrontale e cingolata.

In conclusione è evidente come il termine “accumulo” abbia un limitato valore euristico riconducendo ad una molteplicità di matrici che richiedono approcci diagnostici e trattamentali molto differenti. I criteri E ed F del DSM-V aiutano a discriminare cosa possa essere considerato Disposofobia da cosa invece rappresenti una manifestazione secondaria di un altro disturbo incluso il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Spesso i familiari di chi accumula tendono a fare un passaggio logico pericoloso che va dalla descrizione del comportamento (accumulo) alla definizione del disturbo che sottende a quel comportamento (“mia madre soffre di “accumulo compulsivo”, di “disposofobia” , etc.). Questo passaggio deve essere sempre subordinato ad una diagnosi o una consulenza sul caso da parte di uno specialista esperto sul tema in modo da poter avere tutti gli elementi utili ad intraprendere le strade terapeutiche opportune per il singolo caso.

Articolo Originale: “L’accumulo come manifestazione comportamentale: un sintomo riconducibile a differenti disturbi” su Psicoterapie.pro

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