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La Disposofobia può essere conseguenza di un trauma?

Disposofobia e TraumaLa Disposofobia si configura oggi nel nuovo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V) come disturbo a sé stante uscendo dalla semplice espressione di sintomo del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) o criterio per la diagnosi di Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità (DOCP). L’impostazione del DSM non entra nel merito della causalità dei disturbi (tranne nel caso del Disturbo Post Traumatico da Stress) e anche nel caso della Disposofobia non fa eccezione. In letteratura molte sono le ipotesi  che a fianco della matrice di tipo biologico (studi di linkage genetico e neuroimaging) evidenziano una prospettiva totalmente inedita rispetto all’originaria idea di manifestazione sintomatica del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Si tratta della cosiddetta prospettiva traumatica.

Uno studio abbastanza recente (2011) di Landau et.al. riportato sul Journal of Anxiety Disorders (Stressful life events and material deprivation in hoarding disorder) ha infatti evidenziato come una possibile linea di causalità nella Disposofobia potrebbe essere ricercata in esperienze traumatiche riportate con impressionate frequenza dagli Accumulatori (senza diagnosi di Disturbo Ossessivo Compulsivo). Lo studio ha posto a confronto quattro gruppi:

  • Accumulo senza Disturbo Ossessivo Compulsivo
  • Accumulo con Disturbo Ossessivo Compulsivo
  • Disturbo Ossessivo Compulsivo senza Accumulo
  • Gruppo di controllo (soggetti sani)

La ricerca prevedeva differenti strumenti (interviste e questionari autocompilativi) per determinare la presenza ed eventuali livelli di comportamento di Accumulo, Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità, eventi traumatici, deprivazione materiale, funzionamento lavorativo e sociale.

I risultati hanno indicato che il Disturbo di Accumulo correla significativamente con una storia di  esposizione a eventi traumatici e stressanti. Oltre il 50% degli accumulatori riferisce l’esordio dei sintomi di accumulo in concomitanza o in seguito ad un evento traumatico o gravemente stressante. Al contrario la presenza di “veri” sintomi ossessivo-compulsivi (rituali di lavaggio, controllo, ecc.) non correla o in alcuni casi correla negativamente con una storia di eventi di  traumatici.

Questo dato amplia la comprensione del disturbo indicando anche interessanti prospettive di studio per il trattamento. Similarmente all’ipotesi in base alla quale i classici sintomi del trauma (iper attivazione, immagini intrusive, flashbacks, dissociazione) siano il riproporsi di una risposta di sopravvivenza “fuori contesto”, l’accumulo potrebbe rappresentare un riproporsi del bisogno di evitare la perdita associata a eventi traumatici. L’accumulo sarebbe quindi una soluzione disfunzionale al trauma.

Verificato il fatto che una storia traumatica è maggiormente presente nella vita degli accumulatori come può questa essere messa in relazione con il comportamento di accumulo o meglio di evitamento dell’eliminazione? Alcuni punti centrali nella prospettiva traumatica ci possono aiutare a comprendere la relazione.

  • Il Trauma comporta sempre una perdita. Ogni evento traumatico può comportare una “perdita” a livello personale o di comunità di appartenenza. Possono andare perse cose materiali, persone care, la stessa vita personale. L’accumulo sembra funzionare da antidoto al senso di “perdita”. Molti studi evidenziano la preponderanza di temi di “perdita” nell’accumulo che lo distingue nettamente dal collezionismo. La sola idea di eliminare un oggetto anche senza valore determina ansia e disagio, ne consegue che l’oggetto non viene eliminato per evitare l’angoscia legata alla perdita.
  • Il Trauma soprattutto se agito da un nostro simile, danneggia il senso di sicurezza, di prevedibilità e di fiducia. L’acquisizione di oggetti ed il loro mantenimento crea legami vicari con tali oggetti che in una prospettiva traumatica appaiono più sicuri e prevedibili dei legami tra esseri umani. Spesso l’attaccamento alle persone è sostituito dall’attaccamento alle cose.
  • Il Trauma implica sentimenti di perdita di controllo, paura e impotenza. Il senso di controllo sugli oggetti è importante per gli accumulatori. La maggior parte si oppone all’offerta di aiuto vissuta come intrusione da parte di chiunque si offra di risolvere il problema (ad esempio aiutando a riordinare). L’accettare aiuto equivale ad una perdita di controllo determinando forti sentimenti di ansia e vulnerabilità.
  • Il Trauma implica una perdita del senso di padronanza e capacità personale. Gli accumulatori cercano spesso di recuperare senza successo il dominio della situazione, ma sono cronicamente sopraffatti dalla complessità del compito. Spesso non riescono più a gestire le attività quotidiane, rimandando o avviluppandosi in attività e compiti irrilevanti nel quadro generale della grave situazione in cui la loro vita è precipitata. Meno riescono a risolvere la situazione e meno si sentono in grado di farlo.
  • Il Trauma comporta spesso vergogna e senso di colpa. Gli  accumulatori pur non riuscendo a superare il comportamento disposofobico provano vergogna e sono imbarazzati dagli ambienti nei quali vivono. Diventano vittime di una soluzione che si rivela disfunzionale.
  • Il Trauma comporta un senso di solitudine esistenziale e di totale mancanza di supporto. Molti accumulatori scelgono l’isolamento sociale. Allontanano amici e familiari per mezzo delle condotte di accumulo rimanendo soli con l’illusione di protezione da parte dei loro beni.

Si tratta di una prospettiva tracciata ancora in modo impressionistico che mette in relazione Trauma ed Accumulo ma che già recepisce una serie di studi ed evidenze cliniche. E’ prematuro poterne trarre delle conclusioni trasferibili direttamente alla pratica clinica ed ai protocolli di trattamento ma è una prospettiva che avrà sicuramente interessanti sviluppi nei prossimi anni anche in relazione al consolidarsi di alcuni temi legati al trattamento del trauma.

Articolo Originale: “La prospettiva traumatica nell’eziopatogenesi dell’Hoarding Disorder” su Psicoterapie.pro

Disposofobia e difficoltà nelle relazioni familiari

Come già accennato in post precedenti la disposofobia ha spesso impatti drammatici non solo sulla vita sociale e lavorativa del paziente ma anche, ed a volte in maniera addirittura maggiore, su quella dei familiari. Il disturbo infatti agisce in uno spazio che per definizione dovrebbe essere condiviso, quello cioè abitativo. Disposofobia e Problemi FamiliariNelle manifestazioni severe di accumulo questa condivisione non è più possibile, gli spazi totalmente invasi dalla “roba” dell’accumulatore perdono il loro carattere funzionale rendendo impossibile cucinare, mangiare insieme, accedere ai sanitari. Tale situazione è spesso accompagnata da uno scarsa consapevolezza sul problema da parte dell’accumulatore stesso, aspetto che rende impossibile ogni confronto costruttivo esasperando ulteriormente i rapporti. Due in genere i percorsi familiari:

  • l’allontanamento / fuga – percorso doloroso e mai soddisfacente nel quale i familiari decidono di “salvarsi” lascando all’accumulatore la “libertà di vivere come vuole” al limite monitorando da lontano la situazione ed intervenendo solo in caso di emergenza (riparazioni, malattia, incidenti domestici)
  • la convivenza forzata (spesso dovuta non ad una scelta quanto alla presenza di minori, motivi economici, ecc.) – la quotidianità è segnata da una situazione di costante grave disagio e conflittualità.

Benché questi percorsi siano ben noti a chi si occupa di Disposofobia uno studio pionieristico pubblicato su Behaviour Research and Therapy   da Tolin et. al. già nel 2008 ha cercato di identificarne e quantificarne le componenti di impatto sulle relazioni familiari.

La ricerca ha coinvolto un campione di 665 familiari di accumulatori maggiorenni selezionati su un database di 8000 contatti ai quali è stato richiesto di compilare via internet una serie di scale di valutazione.

risultati, anche se abbastanza prevedibili, sono molto interessanti e, al di là della distribuzione tra i sottogruppi del campione, sono sostanzialmente così riassumibili:

  1. I familiari che hanno vissuto con l’accumulatore prima dei 21 anni (in genere i figli) hanno riportato un livello di sofferenza significativamente più alto durante l’età dello sviluppo di quelli che non hanno convissuto con lo stesso (presumibilmente i partner). La convivenza è stata caratterizzata da rapporti più tesi, mancanza di relazioni sociali, frequenti emozioni negative (soprattutto rabbia e tristezza). Il livello di sofferenza è inoltre risultato significativamente più alto in questo sottogruppo per le femmine rispetto ai maschi (unica differenza di genere riportata).
  2. Il gruppo con maggiore livello di sofferenza è risultato essere quello dei figli di disposofobici che hanno vissuto con l’accumulatore prima dei 10 anni di età ed il cui livello di severità del disturbo può essere quantificato da “moderato” a “severo”. Sostanzialmente sia la severità del sintomo, sia la convivenza con l’accumulatore durante l’infanzia correla con il livello di sofferenza del familiare.
  3. L’indice di Patient Rejection (allontanamento/rifiuto del paziente) risulta significativamente più alto rispetto a pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo ed è comparabile a quello misurato per rapporti tra familiari e pazienti ospedalizzati per schizofrenia. Inoltre il livello di Patient Rejection correla direttamente:
      • con la severità del comportamento di accumulo
      • con il livello di consapevolezza sul problema da parte dell’accumulatore (minore è il livello di consapevolezza, maggiore è la tendenza al rifiuto/allontanamento da parte del familiare)
      • età di esposizione (minore è l’età iniziale di esposizione del familiare alla situazione di Disposofobia, maggiore è la tendenza al rifiuto/allontanamento da parte del familiare)

Questo studio rappresenta il primo che analizza, su un campione così esteso, il rapporto tra familiari e accumulatori, sostanzialmente confermando l’alto impatto che il disturbo ha sulle relazioni familiari.

Il dato più interessante appare quello che riguarda l’indice di Patient Rejection (rifiuto/allontanamento da parte del familiare) che è analogo a quello riscontrabile nei rapporti tra familiari e schizofrenici ospedalizzati (una situazione sotto certi aspetti molto più grave). Su questo tema ulteriori indagini andrebbero fatte sul rapporto tra Disposofobia e sua classificazione come patologia anziché come “carattere”. Ovvero, l’attribuzione da parte dei familiari del comportamento di accumulo ad un aspetto patologico della persona anziché ad una sua “cattiveria”  porterebbe ad un esito diverso in termini di indice di Patient Rejection? Probabilmente si, di qui nasce quindi l’indicazione terapeutica a lavorare con i familiari prima che con il paziente per ristrutturare il terreno relazionale sul quale costruire poi l’intervento diretto.

Articolo Originale: “Hoarding Disorder: gli impatti sulle relazioni familiari” su Psicoterapie.pro

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