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Disposofobia e difficoltà nelle relazioni familiari

Come già accennato in post precedenti la disposofobia ha spesso impatti drammatici non solo sulla vita sociale e lavorativa del paziente ma anche, ed a volte in maniera addirittura maggiore, su quella dei familiari. Il disturbo infatti agisce in uno spazio che per definizione dovrebbe essere condiviso, quello cioè abitativo. Disposofobia e Problemi FamiliariNelle manifestazioni severe di accumulo questa condivisione non è più possibile, gli spazi totalmente invasi dalla “roba” dell’accumulatore perdono il loro carattere funzionale rendendo impossibile cucinare, mangiare insieme, accedere ai sanitari. Tale situazione è spesso accompagnata da uno scarsa consapevolezza sul problema da parte dell’accumulatore stesso, aspetto che rende impossibile ogni confronto costruttivo esasperando ulteriormente i rapporti. Due in genere i percorsi familiari:

  • l’allontanamento / fuga – percorso doloroso e mai soddisfacente nel quale i familiari decidono di “salvarsi” lascando all’accumulatore la “libertà di vivere come vuole” al limite monitorando da lontano la situazione ed intervenendo solo in caso di emergenza (riparazioni, malattia, incidenti domestici)
  • la convivenza forzata (spesso dovuta non ad una scelta quanto alla presenza di minori, motivi economici, ecc.) – la quotidianità è segnata da una situazione di costante grave disagio e conflittualità.

Benché questi percorsi siano ben noti a chi si occupa di Disposofobia uno studio pionieristico pubblicato su Behaviour Research and Therapy   da Tolin et. al. già nel 2008 ha cercato di identificarne e quantificarne le componenti di impatto sulle relazioni familiari.

La ricerca ha coinvolto un campione di 665 familiari di accumulatori maggiorenni selezionati su un database di 8000 contatti ai quali è stato richiesto di compilare via internet una serie di scale di valutazione.

risultati, anche se abbastanza prevedibili, sono molto interessanti e, al di là della distribuzione tra i sottogruppi del campione, sono sostanzialmente così riassumibili:

  1. I familiari che hanno vissuto con l’accumulatore prima dei 21 anni (in genere i figli) hanno riportato un livello di sofferenza significativamente più alto durante l’età dello sviluppo di quelli che non hanno convissuto con lo stesso (presumibilmente i partner). La convivenza è stata caratterizzata da rapporti più tesi, mancanza di relazioni sociali, frequenti emozioni negative (soprattutto rabbia e tristezza). Il livello di sofferenza è inoltre risultato significativamente più alto in questo sottogruppo per le femmine rispetto ai maschi (unica differenza di genere riportata).
  2. Il gruppo con maggiore livello di sofferenza è risultato essere quello dei figli di disposofobici che hanno vissuto con l’accumulatore prima dei 10 anni di età ed il cui livello di severità del disturbo può essere quantificato da “moderato” a “severo”. Sostanzialmente sia la severità del sintomo, sia la convivenza con l’accumulatore durante l’infanzia correla con il livello di sofferenza del familiare.
  3. L’indice di Patient Rejection (allontanamento/rifiuto del paziente) risulta significativamente più alto rispetto a pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo ed è comparabile a quello misurato per rapporti tra familiari e pazienti ospedalizzati per schizofrenia. Inoltre il livello di Patient Rejection correla direttamente:
      • con la severità del comportamento di accumulo
      • con il livello di consapevolezza sul problema da parte dell’accumulatore (minore è il livello di consapevolezza, maggiore è la tendenza al rifiuto/allontanamento da parte del familiare)
      • età di esposizione (minore è l’età iniziale di esposizione del familiare alla situazione di Disposofobia, maggiore è la tendenza al rifiuto/allontanamento da parte del familiare)

Questo studio rappresenta il primo che analizza, su un campione così esteso, il rapporto tra familiari e accumulatori, sostanzialmente confermando l’alto impatto che il disturbo ha sulle relazioni familiari.

Il dato più interessante appare quello che riguarda l’indice di Patient Rejection (rifiuto/allontanamento da parte del familiare) che è analogo a quello riscontrabile nei rapporti tra familiari e schizofrenici ospedalizzati (una situazione sotto certi aspetti molto più grave). Su questo tema ulteriori indagini andrebbero fatte sul rapporto tra Disposofobia e sua classificazione come patologia anziché come “carattere”. Ovvero, l’attribuzione da parte dei familiari del comportamento di accumulo ad un aspetto patologico della persona anziché ad una sua “cattiveria”  porterebbe ad un esito diverso in termini di indice di Patient Rejection? Probabilmente si, di qui nasce quindi l’indicazione terapeutica a lavorare con i familiari prima che con il paziente per ristrutturare il terreno relazionale sul quale costruire poi l’intervento diretto.

Articolo Originale: “Hoarding Disorder: gli impatti sulle relazioni familiari” su Psicoterapie.pro

I costi della Disposofobia

SpiraleQuanto costa la disposofobia a chi ci convive, alle famiglie, ai servizi, alla società? Tantissimo. Le complesse capacità di pianificazione, decisione, categorizzazione che ci permettono di guadagnarci da vivere e di fare fronte ai tanti obblighi che la nostra società impone (arrivare in orario al lavoro, organizzare la giornata, pagare le tasse, le bollette, le assicurazioni, occuparsi della casa, delle riparazioni, della macchina, cucinare, fare il bucato, ecc.) divengono nel disturbo progressivamente deficitarie determinando spesso uno stato di dissesto finanziario personale prima e familiare poi.

Secondo una ricerca di Tolin et al. dal titolo The economic and social burden of compulsive hoarding” apparsa su “Psychiatry Research”, basata su dati quantitativi raccolti su 864 hoarders (si tratta di dati raccolti negli Stati Uniti non generalizzabili tout court alla situazione italiana ma comunque verosimili anche per il nostro contesto) gli aspetti di impatto economico (e quindi di costo del problema a livello personale e familiare) sono generati primariamente dalle seguenti aree:

Difficoltà Lavorative: includono la perdita di efficacia dovuta al caos sviluppato negli ambienti di lavoro (inclusa la difficoltà a trovare oggetti, materiali, moduli ecc. necessari a svolgere la propria mansione), la perdita di giornate lavorative, le assenze dovute al disturbo, i ritardi ed i licenziamenti a causa della progressiva incapacità di pianificare e svolgere efficacemente il proprio lavoro .

 Rispetto al campione in oggetto i dati di impatto in ambito lavorativo sono decisamente rilevanti:

  • Il 5,5 % è stato licenziato a causa del disturbo
  • Il 75,1% dichiara difficoltà nel trovare materiali necessari alla mansione
  • Il 59,8% dichiara che la maggior parte del proprio spazio di lavoro è stato invaso dal caos
  • Il 64,5% dichiara la perdita di almeno un giorno e mezzo di lavoro  nel mese precedente a causa del disturbo (dato tra l’altro messo in relazione ad un analoga ricerca fatta su altri disturbi e con un indice significativamente maggiore rispetto a disturbi depressivi, di panico, fobia sociale, abuso di alcol,  PTSD, etc. e paragonabile solo agli indici del disturbo bipolare e a quelli delle psicosi schizofreniche.)

Tasse e pagamenti: difficoltà nel gestire entro le scadenze le procedure di pagamento verso istituzioni o privati. Rispetto al campione in oggetto

  • il 22% dichiara di non aver completato la dichiarazione dei redditi almeno una volta negli ultimi 5 anni
  • il 54,4% dichiara abbastanza/molto difficile gestire qualsiasi tipo di scadenza di pagamento

(N.B . le difficoltà non sono dovute alla mancanza di disponibilità finanziaria)

Aspetti di medicina generale che co-occorrono col disturbo in parte dovuti allo stato di degrado della quotidianità (mancanza di igiene, cattiva alimentazione, etc.). Tutti gli indici sono in grande misura superiori a quelli della popolazione generale e a quelli ottenuti da ricerche fatte su altri disturbi psichiatrici.

 Nella ricerca si sono rilevate le seguenti co-occorrenze:

  • Obesità: nel 78,3% del campione
  • Malattie respiratorie (asma , etc. ): nel 18, 3% del campione
  • Ipertensione: nel 29,3% del campione
  • Diabete: nel 11% del campione
  • Disturbi autoimmuni: nel 14,7% del campione
  • Fibromialgia: nel 11,3% del campione
  • Sindrome da fatica cronica: nel 12,2% del campione

E’ facile vedere come mancati guadagni e crescenti spese determinate da multe, sanzioni e spese mediche intervengano primariamente a determinare situazioni di dissesto finanziario. A questi aspetti vanno aggiunti i costi relativi ai comportamenti di acquisizione attiva (presenti in circa il 95% degli accumulatori), l’affitto di spazi di stoccaggio (garage, magazzini, etc.) ed infine come aspetti che subentrano successivamente i costi indiretti generati dai conflitti innescati dal disturbo (separazioni, cause, etc.).

Si può parlare di un lento declino che prima erode le risorse finanziare personali attraverso i numerosi aspetti elencati sopra, poi intacca le risorse familiari per il tempo necessario ad esaurirle ed infine i servizi ai quali arrivano situazioni disperate e sempre foriere di ingenti costi di gestione. Anche nel caso le istituzioni si facciano carico di un operazione di “bonifica” degli ambienti nel 75% dei casi la situazione si ripresenta di pari gravità nell’arco di 12-18 mesi.

Anche se date le molte variabili non è possibile fare una stima precisa del costo di tutti questi fattori la ricerca suggerisce che il costo per persona di questo disturbo sia maggiore rispetto a quasi tutti gli altri disturbi psichiatrici e questo nei casi più gravi e con una lunga deriva di malattia non diagnosticata determino per la collettività costi ingentissimi in termini di pressione sul sistema sanitario e sociale.

E in Italia? Ad oggi non esiste alcun dato o ricerca in questo senso ma l’esperienza clinica suggerisce che il tipo di percorso relativo al dissesto economico sia esattamente lo stesso. Lo scenario verso il quale ci si sta muovendo è orientato alla diagnosi precoce e a trattamenti che intervengano prima che il ciclo del dissesto economico abbia preso il via. In questo modo è possibile da un lato salvaguardare gli aspetti di relazione che spesso risultano fortemente compromessi dal disturbo e dall’altro contenere i costi terapeutici. Questi ultimi risultano in ogni caso in termini puramente economici sempre a favore della terapia in qualsiasi fase del disturbo. Basta in effetti comparare l’ordine di grandezza dei costi indotti da spese legali, accertamenti fiscali o ristrutturazioni edilizie senza neanche entrare nel merito di inabilità ancora più radicali e che non toccano solo l’ambito economico quali la capacità di mantenere il proprio matrimonio, la custodia dei figli o una posizione lavorativa per comprendere come un trattamento specialistico sia un aspetto che non va valutato nel suo “costo” immediato ma in un quadro generale di arresto delle “perdite”.

Articolo Originale: “I costi personali e sociali dell’Hoarding Disorder”  su Psicoterapie.pro

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